INTRO

Per molti parlare di sovrappopolazione, denunciare il problema dei troppi umani sul pianeta è una posizione anti-umanista, che teorizza lo sterminio di persone, fino a rasentare il disumano. Per alcuni, al contrario, la preoccupazione per la sovrappopolazione del pianeta è propria di chi tiene all'uomo, alla sua sopravvivenza, al significato della sua presenza sulla terra, alla lotta contro la massificazione e la perdita di senso di una umanità che per i suoi numeri spaventosi diviene una macchina di replicazione di prodotti e consumi, con il rischio che l'uomo stesso divenga prodotto da replicare aprioristicamente.

Sono comunque sempre di più le persone che si rendono conto che nessun rientro nei limiti, sia nei consumi che nelle emissioni, sarà possibile senza un rientro nei limiti di quella che è la causa di fondo: l'eccessiva popolazione umana,la sua crescita spaventosa nell'ultimo secolo, i tassi di natalità ancora troppo alti. Non sarà possibile salvare le foreste, risparmiare i suoli verdi, mantenere uno sviluppo sostenibile, assicurare a tutti cibo e acqua, impedire il surriscaldamento dell'atmosfera, diminuire i tossici e i prodotti chimici che intossicano terreni e corsi d'acqua, laghi e mari, nulla di questo sarà possibile se non verrà contenuta l'esplosione demografica della specie Homo.

I NUMERI

Nell’anno 1000 la popolazione mondiale era pari a 310 milioni; nel 1800 a 978, nel 1900 a 1,5 miliardi; nel 2000 a 6,07; nel 2010 a 6,97; e secondo la proiezione dell’Onu nel 2050 saremo 9 miliardi.
Ogni 2 secondi la popolazione del pianeta aumenta di quattro persone. Ogni secondo, sulla Terra, si registrano infatti 4,17 nascite e 1,80 morti, con una crescita netta di 2,37 persone. E ogni anno la popolazione mondiale cresce di quasi 75 milioni di individui. Adesso siamo a 7,3 miliardi, una corsa che pare non fermarsi, anche se il tasso annuo di crescita globale è in realtà diminuito: dopo aver raggiunto il picco del 2,19% a metà anni ’60, è in calo costante e oggi il mondo aumenta dell’1,14%.
Secondo la FAO dal 1950 al 2050 l’ammontare di acqua potabile pro capite scenderà del 73 per cento. Già oggi sono quasi 4 miliardi le persone a rischio per insufficienza d’acqua e 5 milioni i morti per malattie legate alla sua scarsità o per mancanza di servizi igienico-sanitari di base. Sempre secondo la FAO l’aumento della popolazione mondiale porterà ad un aumento della domanda di acqua dolce di 64 miliardi di metri cubi all’anno e ad un aumento della domanda di cibo tra il 70% e il 100% per il 2050; una cifra enorme se si pensa che per produrre la quantità di cibo che una persona consuma in un giorno servono tra i 2 mila e i 5 mila litri d’acqua.
Nel 2011 un rapporto del WWF affermava: «il mondo si prepara a perdere 55,5 milioni di ettari di foreste entro il 2020, anche se si adotteranno misure urgenti per ridurre la deforestazione». La FAO stima che ogni minuto vengono distrutti 10 ettari di foreste nel mondo, l’equivalente di oltre 20 campi di calcio.

Il dato più inquietante è però quello del Forum internazionale promosso da Barilla Center for Food and Nutrition (BCFN) del novembre 2012: mantenere l’attuale stile di vita richiederà tre pianeti nel 2050 solo per soddisfare il fabbisogno alimentare.
Alla luce di tutto questo, appare evidente che il fenomeno affonda le radici nella parte più istintuale dell’essere umano, direttamente discendente dal principale imperativo biologico di mantenimento e promozione della specie, tanto più protetto e promosso da documenti tra i più fondanti dell’ordinamento internazionale: infatti, nei documenti prodotti nell’ambito della Conferenza internazionale su popolazione e sviluppo del Cairo del 1994 ad esempio, si leggono al paragrafo 7.3 i principi seguenti:

I DIRITTI RIPRODUTTIVI

“I diritti riproduttivi abbracciano alcuni diritti umani che sono stati già riconosciuti dalle leggi nazionali, dai documenti internazionali sul diritti umani e da altri documenti attinenti votati all'unanimità dalle Nazioni Unite. Tali diritti si basano sul riconoscimento del diritto basilare di tutte le coppie e dei singoli individui di decidere liberamente e responsabilmente sul numero, il momento e l'intervallo fra le nascite dei propri figli, di avere i mezzi e le informazioni necessarie per esercitare tale diritto, e di ottenere i migliori standard di salute sessuale e riproduttiva. Ciò comporta anche il diritto di ognuno a prendere decisioni relative alla riproduzione senza essere oggetto di discriminazioni, coercizioni o violenze, come espresso nei documenti sul diritti umani.”
Pare dunque non vi sia spazio per alcun argine in materia. Lo stesso documento tuttavia prosegue così: «nell'esercizio di tale diritto, i genitori devono tenere conto sia delle necessità dei figli e dei nascituri sia delle proprie responsabilità nel confronti della comunità. La promozione dell'esercizio responsabile di questi diritti da parte di tutti deve formare la base dei programmi e delle politiche governative e comunitarie nel settore della salute riproduttiva, compresa la pianificazione familiare...”

Tralasciando le diverse derive che nel tempo hanno informato il concetto di “pianificazione familiare”, tutte più o meno discutibili come la politica del figlio unico cinese o la triste tradizione eugenetica, giova molto di più concentrarsi sul concetto di responsabilità genitoriale, alla quale viene lasciata la gestione degli aspetti riproduttivi tout court. Probabilmente l’unica soluzione correttamente praticabile intendiamoci.

LA FAME DI RIPRODUZIONE

Ma proprio questo è il punto che affronto con questo mio lavoro: la FAME! Inesauribile e spesso aprioristica di riproduzione, che a dispetto di ogni difficoltà sociale ed economica continua a considerare ogni figlio come una benedizione e la famiglia nucleo fondante della società. Un approccio che non è appannaggio della cultura cristiana, come ben si vede nel mondo.

Richiamo qui la stringente argomentazione di Gianfranco Pellegrino circa l’impossibilità del considerare la libertà riproduttiva in senso assoluto e completo, a favore di un approccio limitato dalla responsabilità stessa verso le condizioni di vita degli individui futuri, realizzando solo così pienamente il dettato del secondo punto del trattato del Cairo sopracitato.
Un’argomentazione che potrà confutare due concetti molto importanti:

A) non è affatto assurdo negare che ci sia un obbligo di evitare l’estinzione della specie umana: abbiamo doveri verso gli individui che verranno al mondo nel futuro in conseguenza delle nostre azioni, ma non abbiamo alcun dovere di far sì che ci siano degli individui, nel futuro;

B) questa opinione, per altro, è una delle maniere migliori per conciliare i nostri obblighi nei confronti delle persone che vivranno nel futuro con la libertà riproduttiva – vale a dire la libertà per gli individui di decidere se e come riprodursi.

LE LIBERTà RIPRODUTTIVE

LIBERTà RIPRODUTTIVA COMPLETA
Esistono argomentazioni capaci di giustificare una libertà riproduttiva completa, senza limiti non banali, vale a dire senza limiti che non siano quelli ovvi derivanti dal danno inflitto agli altri. Purtroppo, tali argomentazioni non riescono a conciliare la libertà riproduttiva con una responsabilità morale verso le generazioni future, bensì conduce a escludere del tutto che ci siano obblighi di sorta nei confronti degli individui che vivranno nel futuro.
Questa linea di ragionamento si può presentare in maniera abbastanza intuitiva nella maniera seguente. Un’azione che dà a qualcuno la possibilità di esistere non si può considerare causa di danno per costui. Forse non è neanche un beneficio, ma sicuramente non è un danno – anche perché senza quest’azione l’individuo in questione non sarebbe esistito. Un individuo può venire danneggiato da azioni successive a quella che ne provoca la nascita, semmai 10. Di conseguenza, far nascere un figlio, e in generale fare scelte che porteranno alla nascita di altri individui, non è mai un’azione dannosa. Certe persone non sarebbero neanche venute al mondo, senza tali scelte.
Quindi, c’è la massima libertà, in questo campo.
La giustificazione della libertà riproduttiva completa si può scandire nei seguenti punti:

1) Principio del danno: Se un’azione non danneggia nessuno è moralmente indifferente.
2) Le circostanze in cui si viene danneggiati. Essere danneggiati significa stare peggio di quanto si sarebbe stati altrimenti. «Danno» è una nozione intrinsecamente comparativa. Non ci sono elementi oggettivi e predeterminati che costituiscono danni o benefici indipendentemente dal contesto. Qualcuno riceve un danno da una mia azione ove, se io non avessi agito come ho fatto, egli si sarebbe trovato in una condizione migliore di quella in cui versa dopo che io ho compiuto quell’atto, ed ora è in una condizione peggiore in virtù di conseguenze intenzionali o prevedibili della mia azione.
3) Nessun danno agli individui meramente possibili. Alla luce dei punti precedenti, e del principio del danno, quale valutazione morale si può dare di queste scelte? Si può dire che esse danneggiano qualcuno? La risposta non può essere che negativa.
Le scelte riproduttive e le scelte che influenzano la riproduzione sono moralmente indifferenti, com’è reso evidente dal seguente ragionamento. Se non si fossero fatte certe scelte, le persone la cui nascita è stata determinata da quelle scelte non sarebbero esistite. Si può dire per questo che esse sono state danneggiate, o beneficate da tali scelte? Per dirlo, bisognerebbe ritenere che non esserci, non esistere, significhi stare peggio che esistere, bisognerebbe considerare l’inesistenza come una condizione estremamente negativa, estremamente dannosa. Ma questa è una idea assurda: infatti, l’idea stessa di «danno» presuppone una vittima.
Essere danneggiati significa, per chi subisce il danno, stare peggio. Ma se la persona in questione non esiste ancora, non si vede chi potrebbe essere danneggiato e chi potrebbe stare peggio.
Per essere danneggiati bisogna esserci.
Nessuno può essere danneggiato dal non essere nato. Ma, dunque, nessuno può essere danneggiato, o beneficato, dall’essere nato. Fare nascere delle persone significa creare le potenziali vittime di danni, non già danneggiarle. Di conseguenza, le scelte che conducono alla nascita di qualcuno non possono costituire un danno. Semmai sono le azioni che seguono tale nascita a poter danneggiare la persona che nasce.
4) Neutralità assiologica dell’inesistenza. Non esistere, di conseguenza, non è né un bene, né un male.
5) Indifferenza morale delle scelte riproduttive e tesi della non responsabilità. In quanto per definizione non sono causa di danno, le scelte riproduttive e in generale tutte le scelte che influenzano l’identità di chi vivrà nel futuro sono moralmente indifferenti.
In questo campo, la libertà è completa. Pertanto, la nostra responsabilità nei confronti delle generazioni future è nulla.

LIBERTà RIPRODUTTIVA RESPONSABILE E LIMITATA

Se l’analisi del paragrafo precedente è corretta, c’è bisogno di un’argomentazione per limitare la libertà riproduttiva in nome delle nostre responsabilità nei confronti delle generazioni future. Se non altro, si dovrebbe riuscire a rendere conto di un’intuizione ovvia: non è lecito far nascere degli individui che condurrebbero delle vite piene di sofferenza e indegne di essere vissute.
Lasciare libertà riproduttiva agli individui significa dare loro la possibilità sia di riprodursi sia di non riprodursi. Ora, è possibile che la maggior parte, o comunque un alto numero di individui, decida di riprodursi. Questo aumenterà la popolazione del futuro. Tutte le scelte riproduttive saranno ovviamente tali da garantire ai nati una qualità della vita al di sopra della peggiore vita possibile.

Tuttavia, le possibilità di vivere male, in un mondo che si sovrappopola progressivamente, aumenteranno sempre di più. Il livello in
cui si pone la peggiore vita possibile si abbasserà sempre di più, e le vite che si porranno al di sopra di tale livello, saranno ben presto delle vite difficilmente tollerabili – almeno se confrontate con quelle che si vivrebbero in un mondo meno affollato. E tuttavia la regola che stiamo discutendo non dichiarerà immorali queste scelte riproduttive. Anche entroi limiti imposti dalla posizione che stiamo discutendo, la libertà riproduttiva potrebbe essere eccessiva, e andare incontro a esiti paradossali e moralmente ripugnanti.
Quindi in definitiva la libertà riproduttiva, per essere difendibile, non deve implicare esiti collettivamente catastrofici.”

La moltiplicazione degli individui appare veloce, continua, inarrestabile. Smisurata per le dimensioni del pianeta.
Come tale è impersonale e indifferente, come un virus si espande occupando ogni pertugio per semplice natura intrinseca, tanto senza volontà quanto senza raziocinio.





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