Nell'ambito del Forum Italo – Peruviano, evento che ha come obiettivo quello di riaffermare gli eccellenti rapporti italo – peruviani attraverso il rinnovo degli accordi di intercambio e collaborazione a diversi livelli, l'Istituto Italiano di Cultura presenta la personale di Monica Marioni.
Il ruolo primario che l’arte contemporanea italiana esprime a livello internazionale si manifesta, oltre che con i grandi nomi che tutti conosciamo e a cui il mondo dell’arte fa costante riferimento (da Burri a Fontana, da Turcato all’Accardi, da Vedova a Pomodoro, da Merz a Kounellis, e via elencando tralasciandone tanti altri), con giovani artisti che si dedicano alla ricerca di nuove forme espressive con straordinario impegno ma che, allo stesso tempo, tengono ben presente la lezione teorica e tecnica dei maestri.
Questo e’ il caso di Monica Marioni, artista che sorprende e fa riflettere per l’uso disinvolto che fa di un immaginario classico forse indebolito dall’uso costante e spesso irriverente al quale e’ sottoposto dall’universo della comunicazione; un immaginario che rimanda a riferimenti precisi che l’artista ancora alla realta’ attraverso elementi di materia che, oltre a dar vita a una misteriosa metafora, mostrano l’impossibilita’ – se accettiamo che il senso e’ legato a una logica - di costruire un senso o, addirittura, ”il” senso della vita e delle cose.
La dimensione intellettualistica delle opere dell’artista italiana, sostenuta da mezzi tecnici sicuri, evidenzia come la ricerca espressiva degli artisti delle nuovissime generazioni italiane non abbia assolutamente nulla da invidiare a quella dei maestri recenti che in Italia hanno dato vita a grandi stagioni artistiche.
E’ con questa convinzione che l’istituto Italiano di Cultura di Lima intende continuare a proporre la produzione artistica italiana contemporanea intesa come esempio di creativita’ e veicolo di dialogo che consente agli altri popoli di approfondire la conoscenza della storia e della cultura di un Paese, l’Italia, che e’ storicamente teso a costruire occasioni di confronto utili anche all’integrazione di nuovi contributi provenienti dalle varie culture del mondo.
L’arte italiana contemporanea – espressione di un dinamismo culturale mai spento che risale, ininterrottamente, a molti secoli addietro - e’ certamente in linea con una tradizione artistica che ha prodotto opere di valore elevatissimo e assolutamente imprescindibili per la comprensione dei fenomeni artistici e culurali che connotano il nostro tempo.
Constato con piacere che le mostre che negli ultimi tempi sono state presentate dall’Istituto Italiano di Cultura vengono incontro ad una richiesta di arte contemporanea italiana che ci giunge dalla citta’ di Lima, dove l’attenzione per l’arte e la creativita’ italiana si sta facendo sempre piu’ viva e presente.
Il contributo che la cultura artistica italiana puo’ e vuole dare al rilancio della capitale peruviana sul piano internazionale, ci vede impegnati nel proporre quanto di meglio l’Italia ha espresso nel campo dell’arte e della cultura al fine di rendere ancor piu’ stretti i legami culturali e artistici che legano due paesi, l’Italia e il Peru’, cosi tradizionalmente amici.
Inizieremo questa approssimazione a partire dall’aspetto tecnico, ovvero, il procedimento con il quale la Marioni materializza la sua proposta, quel singolare trattamento del supporto che, come in un palinsesto, ospita diversi piani dialettici che si sovrappongono tra di loro – alcuni con voce dominante e altri in sordina – elementi agonici e residui di una cultura visiva cosmopolita e contemporanea che sedimentati acquisiscono lì un’intensità altra, per la decifrazione della quale accediamo attraverso l’intuizione.
È il formato “quadro” quello che ci fa leggere in principio la proposta visiva della Marioni con gli occhi di chi guarda un dipinto e in realtà, il suo lavoro bidimensionale anche se complessivamente si può valutare in termini pittorici, è un’altra cosa: è quadro e non pittura, è superficie dove la visualità non riverbera a causa di risorse cromatiche ma grazie all’adesione di elementi con una “carica” propria che sospettiamo essere familiare, che “possiamo leggere”, giacché quegli elementi una volta formavano parte di quella realtà che adesso il quadro ha trasformato in un’altra cosa, di quella realtà ordinaria nella quale continuiamo a muoverci.
Ed è come collage che dobbiamo esplorare le opere della Marioni. E a sua volta, la contemporaneità della sua proposta non fa altro che ratificare l’anticipato, la buona stirpe di quel processo di radicamento tanto “artigianale” – un’operazione di forbici, carta stampata e colla – con il quale persino il cubismo ha fatto un passo avanti nelle sue ricerche formali.
Quella poetica surrealista così inerente al collage – ma senza straripare, giacché l’autrice, come vedremo in seguito, ha delimitato bene il canale del suo discorso – evoca con il suo formato il pittorico e nello stesso tempo recupera la potenza creativa del collage sempre in grado di apportare una lettura frammentaria e terribilmente tangibile dello spirito del nostro tempo. (È precisamente quell’apparente spostamento della carta stampata - flusso prioritario del collage – grazie alla virtualità informatica e alla sua esistenza “non stampata” ciò che ci fa guardare i suoi materiali con un’oggettività supportata dalla distanza).
Sicuramente esistono paragoni per vincolare l’opera recente della Marioni con gli antecedenti dell’informazione e l’arte materica ma preferiamo prendere un’altra strada visto che anche se gli impasti di queste opere sono palesi, questi vengono subordinati rispetto agli elementi aggiunti i quali elementi contengono una carica rappresentativa. Non è questa la prima volta che lo sperimentiamo: il materismo fa appello alla nostra percezione in maniera diretta, quasi organica, ma è sufficiente attaccargli un ritaglio stampato con un testo o una figura e quella percezione si ripiega e si riduce a “contesto” o passa in secondo piano.
L’evoluzione della pittura, forse la disciplina che più “organicamente” ha evidenziato le trasformazioni della storia dell’arte, ha portato all’abilitazione del quadro come supporto o come territorio portatile per operazioni visive e anche il supporto come un muro davanti al quale lo sguardo si sofferma. L’opera di Mónica Marioni si erige precisamente sulla nobiltà del supporto, questo spazio bidimensionale che sopporta la molteplicità di elementi che simultaneamente “dicono”, comunicano, dissonano e che, come accadde con le mura di una città, non perdono la loro qualità di “opera aperta”, momentaneamente ferma come dispositivo visuale. (Alcune esibizioni simili ai graffiti non fanno altro che corroborare questa idea, come anche la sovrapposizione di strati che a volte coprono e altre volte svelano).
Il secondo aspetto che esaminiamo per avvicinarci a una comprensione del lavoro della nostra artista è quello dell’uso del suo retaggio culturale, il suo rapporto rispetto all’eredità iconografica particolarmente presente nella sua condizione di artista italiana. Perché la sua opera parla anche della complessità di erigere un’opera contemporanea con la coscienza di quel patrimonio sulle sue spalle. Non si convive impunemente con una tale eredità.
Dalla nostra posizione nel presente, che ci permette di contemplare come se fossero allineate alla nostra portata il retaggio di immagini e forme che alloggiano dentro alla Storia dell’Arte – un privilegio è vero, ma anche un peso – ogni artista contemporaneo deve risolvere la coscienza del suo posto dentro di quel divenire, la sua posizione come creatore di una sequenza, di un affluente di forme e immagini che non cessa. Questa situazione è molto più algida nel caso di artisti come la Marioni, la cui eredità artistica è tanto ricca e i cui parametri di bellezza, in qualche modo, sono ancora vigenti come paragone della cultura visuale attuale.
Fare la parodia di un’icona classica, o ancora più oltre, ritagliarla, frammentarla per ricostruirla liberamente sopra un’altra superficie è nello stesso tempo appropriarsene e rivalutarla, manifestare che ci risulta imprescindibile. Dietro l’irriverenza c’è rispetto ed è quella la natura del trattamento che la Marioni dà alle sue “citazioni”. Certamente non sono poche le occasioni nelle quali inserisce personaggi del fumetto e del disegno animato, indipendentemente dalle lingue che essi “parlino”, come risorsa per temperare la solennità nelle sue opere.
Il terzo e ultimo aspetto di questo avvicinamento alla proposta di Monica Marioni è quello che consideriamo racchiuda il segreto della coerenza, dell’integrità concettuale del suo lavoro: l’io poetico femminile che assume la linea della proposta, un discorso severo intorno al femminile e le sue proiezioni, coinvolgendo, paradossalmente, la dissoluzione del proprio io dell’autrice, giacché la sua impronta – la sua traccia – è appena visibile nel tratto di qualche volto rappresentato o in tocchi misurati di colore, operando in favore di quell’assenza, di quel discorso personale eretto da elementi presi, estranei.
La sedimentazione di vestigia visuali si trova organizzata partendo dal leit motiv della maggior parte delle opere recenti della Marioni: il volto femminile, predominantemente solo, proveniente da certe idealizzazioni prese sia dal mondo della moda o della pubblicità nonché dall’iconografia sacra della pittura classica. Con questo repertorio la Marioni riesce ad introdursi in una poetica dell’interiorità femminile partendo dai gesti manichei, di quelle risate e sorrisi che possono interpretarsi come un rictus di dolore e di quelle altre attitudini gravi che non cessano di essere parte di un gioco di teatralità. Questo è, gli squarci di interiorità che, nonostante se stessa, rivelano la superficialità e ciò che è rivelatore dell’interiorità implicito nel superficiale.
In ogni caso è quel volto femminile, o meglio, quello sguardo femminile, individuale, che sorge dal cuore del quadro, quello che riceve lo spettatore. E come davanti ai ritratti, per un lasso indeterminato, vediamo confrontati una faccia piana e uno sguardo erratico. In diversi casi la densità di elementi che la circondano sembrano risplendori di un pensiero, della densa soggettività senza tempo nella quale abita.
Il femminile e la sua disgregazione, il femminile come fantasmagoria del consumo, il femminile e la sua erosione come icona. Il femminile come principio e fine. Queste sono alcune idee che ci lascia la contemplazione di queste opere.
CONTRIBUTO 1
I lavori di Monica Marioni, che l’Istituto Italiano di Cultura di Lima presenta per la prima volta in Sudamerica all’interno di una mostra composita e articolata, sono parte di un progetto che identifica nell’arte contemporanea italiana, attraverso l’esposizione delle opere degli artisti che rappresentano e innovano una tradizione che ha segnato la cultura occidentale, il settore presso il quale l’Italia si accredita come uno dei grandi centri della creativita’ artistica mondiale.Il ruolo primario che l’arte contemporanea italiana esprime a livello internazionale si manifesta, oltre che con i grandi nomi che tutti conosciamo e a cui il mondo dell’arte fa costante riferimento (da Burri a Fontana, da Turcato all’Accardi, da Vedova a Pomodoro, da Merz a Kounellis, e via elencando tralasciandone tanti altri), con giovani artisti che si dedicano alla ricerca di nuove forme espressive con straordinario impegno ma che, allo stesso tempo, tengono ben presente la lezione teorica e tecnica dei maestri.
Questo e’ il caso di Monica Marioni, artista che sorprende e fa riflettere per l’uso disinvolto che fa di un immaginario classico forse indebolito dall’uso costante e spesso irriverente al quale e’ sottoposto dall’universo della comunicazione; un immaginario che rimanda a riferimenti precisi che l’artista ancora alla realta’ attraverso elementi di materia che, oltre a dar vita a una misteriosa metafora, mostrano l’impossibilita’ – se accettiamo che il senso e’ legato a una logica - di costruire un senso o, addirittura, ”il” senso della vita e delle cose.
La dimensione intellettualistica delle opere dell’artista italiana, sostenuta da mezzi tecnici sicuri, evidenzia come la ricerca espressiva degli artisti delle nuovissime generazioni italiane non abbia assolutamente nulla da invidiare a quella dei maestri recenti che in Italia hanno dato vita a grandi stagioni artistiche.
E’ con questa convinzione che l’istituto Italiano di Cultura di Lima intende continuare a proporre la produzione artistica italiana contemporanea intesa come esempio di creativita’ e veicolo di dialogo che consente agli altri popoli di approfondire la conoscenza della storia e della cultura di un Paese, l’Italia, che e’ storicamente teso a costruire occasioni di confronto utili anche all’integrazione di nuovi contributi provenienti dalle varie culture del mondo.
– Renato Poma
Direttore dell’Istituto Italiano di Cultura
Direttore dell’Istituto Italiano di Cultura
CONTRIBUTO 2
Monica Marioni e’ uno dei giovani artisti italiani sicuramente piu’ interessanti e, per questo, apprezzati in Italia e all’estero. Il suo e’ un linguaggio che riesce a comunicare immediatamente, e con semplicita’, sensazioni forti. Il mistero e il silenzio che circondano le opere dell’artista italiana sono forse gli elementi che maggiormente affascinano l’osservatore dei suoi elaborati lavori. Le sue figure, ironicamente classiche, dialogano con la materia dando vita a contesti sognanti e lontani dai quali si puo’ evincere l’attenzione che la giovane artista ha prestato ai maestri dell’arte italiana contemporanea.L’arte italiana contemporanea – espressione di un dinamismo culturale mai spento che risale, ininterrottamente, a molti secoli addietro - e’ certamente in linea con una tradizione artistica che ha prodotto opere di valore elevatissimo e assolutamente imprescindibili per la comprensione dei fenomeni artistici e culurali che connotano il nostro tempo.
Constato con piacere che le mostre che negli ultimi tempi sono state presentate dall’Istituto Italiano di Cultura vengono incontro ad una richiesta di arte contemporanea italiana che ci giunge dalla citta’ di Lima, dove l’attenzione per l’arte e la creativita’ italiana si sta facendo sempre piu’ viva e presente.
Il contributo che la cultura artistica italiana puo’ e vuole dare al rilancio della capitale peruviana sul piano internazionale, ci vede impegnati nel proporre quanto di meglio l’Italia ha espresso nel campo dell’arte e della cultura al fine di rendere ancor piu’ stretti i legami culturali e artistici che legano due paesi, l’Italia e il Peru’, cosi tradizionalmente amici.
– Francesco Rausi
Ambasciatore d’Italia a Lima
Ambasciatore d’Italia a Lima
CONTRIBUTO 3
La polifonia visuale che le opere di Monica Marioni ostentano a un primo sguardo può metterci sulla difensiva come spettatori giacché la complessa articolazione degli elementi che coesistono sulle loro superfici – immagini e testi nella maggior parte ritagli di stampe, consistenze ottenute attraverso l’adesione di oggetti minuscoli che fungono da falsi ornamenti e impasti materici, paradossalmente traslucidi – ci parla in diversi registri. Ma poi, dopo uno sguardo attento - o dopo un secondo sguardo dell’insieme – percepiamo che dietro quella sedimentazione di materiali e di quel bagaglio semantico esiste una linea di discorso che percorre ognuna delle sue opere, tessendole in un corpus solido; un discorso coerente che affronteremo in seguito. Inizieremo questa approssimazione a partire dall’aspetto tecnico, ovvero, il procedimento con il quale la Marioni materializza la sua proposta, quel singolare trattamento del supporto che, come in un palinsesto, ospita diversi piani dialettici che si sovrappongono tra di loro – alcuni con voce dominante e altri in sordina – elementi agonici e residui di una cultura visiva cosmopolita e contemporanea che sedimentati acquisiscono lì un’intensità altra, per la decifrazione della quale accediamo attraverso l’intuizione.
È il formato “quadro” quello che ci fa leggere in principio la proposta visiva della Marioni con gli occhi di chi guarda un dipinto e in realtà, il suo lavoro bidimensionale anche se complessivamente si può valutare in termini pittorici, è un’altra cosa: è quadro e non pittura, è superficie dove la visualità non riverbera a causa di risorse cromatiche ma grazie all’adesione di elementi con una “carica” propria che sospettiamo essere familiare, che “possiamo leggere”, giacché quegli elementi una volta formavano parte di quella realtà che adesso il quadro ha trasformato in un’altra cosa, di quella realtà ordinaria nella quale continuiamo a muoverci.
Ed è come collage che dobbiamo esplorare le opere della Marioni. E a sua volta, la contemporaneità della sua proposta non fa altro che ratificare l’anticipato, la buona stirpe di quel processo di radicamento tanto “artigianale” – un’operazione di forbici, carta stampata e colla – con il quale persino il cubismo ha fatto un passo avanti nelle sue ricerche formali.
Quella poetica surrealista così inerente al collage – ma senza straripare, giacché l’autrice, come vedremo in seguito, ha delimitato bene il canale del suo discorso – evoca con il suo formato il pittorico e nello stesso tempo recupera la potenza creativa del collage sempre in grado di apportare una lettura frammentaria e terribilmente tangibile dello spirito del nostro tempo. (È precisamente quell’apparente spostamento della carta stampata - flusso prioritario del collage – grazie alla virtualità informatica e alla sua esistenza “non stampata” ciò che ci fa guardare i suoi materiali con un’oggettività supportata dalla distanza).
Sicuramente esistono paragoni per vincolare l’opera recente della Marioni con gli antecedenti dell’informazione e l’arte materica ma preferiamo prendere un’altra strada visto che anche se gli impasti di queste opere sono palesi, questi vengono subordinati rispetto agli elementi aggiunti i quali elementi contengono una carica rappresentativa. Non è questa la prima volta che lo sperimentiamo: il materismo fa appello alla nostra percezione in maniera diretta, quasi organica, ma è sufficiente attaccargli un ritaglio stampato con un testo o una figura e quella percezione si ripiega e si riduce a “contesto” o passa in secondo piano.
L’evoluzione della pittura, forse la disciplina che più “organicamente” ha evidenziato le trasformazioni della storia dell’arte, ha portato all’abilitazione del quadro come supporto o come territorio portatile per operazioni visive e anche il supporto come un muro davanti al quale lo sguardo si sofferma. L’opera di Mónica Marioni si erige precisamente sulla nobiltà del supporto, questo spazio bidimensionale che sopporta la molteplicità di elementi che simultaneamente “dicono”, comunicano, dissonano e che, come accadde con le mura di una città, non perdono la loro qualità di “opera aperta”, momentaneamente ferma come dispositivo visuale. (Alcune esibizioni simili ai graffiti non fanno altro che corroborare questa idea, come anche la sovrapposizione di strati che a volte coprono e altre volte svelano).
Il secondo aspetto che esaminiamo per avvicinarci a una comprensione del lavoro della nostra artista è quello dell’uso del suo retaggio culturale, il suo rapporto rispetto all’eredità iconografica particolarmente presente nella sua condizione di artista italiana. Perché la sua opera parla anche della complessità di erigere un’opera contemporanea con la coscienza di quel patrimonio sulle sue spalle. Non si convive impunemente con una tale eredità.
Dalla nostra posizione nel presente, che ci permette di contemplare come se fossero allineate alla nostra portata il retaggio di immagini e forme che alloggiano dentro alla Storia dell’Arte – un privilegio è vero, ma anche un peso – ogni artista contemporaneo deve risolvere la coscienza del suo posto dentro di quel divenire, la sua posizione come creatore di una sequenza, di un affluente di forme e immagini che non cessa. Questa situazione è molto più algida nel caso di artisti come la Marioni, la cui eredità artistica è tanto ricca e i cui parametri di bellezza, in qualche modo, sono ancora vigenti come paragone della cultura visuale attuale.
Fare la parodia di un’icona classica, o ancora più oltre, ritagliarla, frammentarla per ricostruirla liberamente sopra un’altra superficie è nello stesso tempo appropriarsene e rivalutarla, manifestare che ci risulta imprescindibile. Dietro l’irriverenza c’è rispetto ed è quella la natura del trattamento che la Marioni dà alle sue “citazioni”. Certamente non sono poche le occasioni nelle quali inserisce personaggi del fumetto e del disegno animato, indipendentemente dalle lingue che essi “parlino”, come risorsa per temperare la solennità nelle sue opere.
Il terzo e ultimo aspetto di questo avvicinamento alla proposta di Monica Marioni è quello che consideriamo racchiuda il segreto della coerenza, dell’integrità concettuale del suo lavoro: l’io poetico femminile che assume la linea della proposta, un discorso severo intorno al femminile e le sue proiezioni, coinvolgendo, paradossalmente, la dissoluzione del proprio io dell’autrice, giacché la sua impronta – la sua traccia – è appena visibile nel tratto di qualche volto rappresentato o in tocchi misurati di colore, operando in favore di quell’assenza, di quel discorso personale eretto da elementi presi, estranei.
La sedimentazione di vestigia visuali si trova organizzata partendo dal leit motiv della maggior parte delle opere recenti della Marioni: il volto femminile, predominantemente solo, proveniente da certe idealizzazioni prese sia dal mondo della moda o della pubblicità nonché dall’iconografia sacra della pittura classica. Con questo repertorio la Marioni riesce ad introdursi in una poetica dell’interiorità femminile partendo dai gesti manichei, di quelle risate e sorrisi che possono interpretarsi come un rictus di dolore e di quelle altre attitudini gravi che non cessano di essere parte di un gioco di teatralità. Questo è, gli squarci di interiorità che, nonostante se stessa, rivelano la superficialità e ciò che è rivelatore dell’interiorità implicito nel superficiale.
In ogni caso è quel volto femminile, o meglio, quello sguardo femminile, individuale, che sorge dal cuore del quadro, quello che riceve lo spettatore. E come davanti ai ritratti, per un lasso indeterminato, vediamo confrontati una faccia piana e uno sguardo erratico. In diversi casi la densità di elementi che la circondano sembrano risplendori di un pensiero, della densa soggettività senza tempo nella quale abita.
Il femminile e la sua disgregazione, il femminile come fantasmagoria del consumo, il femminile e la sua erosione come icona. Il femminile come principio e fine. Queste sono alcune idee che ci lascia la contemplazione di queste opere.
– Manuel Munive Maco
Museo d’Arte Italiano
Museo d’Arte Italiano
ORGANIZZAZIONE: ANTONINA ZARU, ISTITUTO ITALIANO DI CULTURA E AMBASCIATA D'ITALIA.